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La morte, pane quotidiano per i congolesi, si estende fino in Italia

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La morte, pane quotidiano per i congolesi, si estende fino in Italia

È toccato ai bravi servitori della madre patria Italia abbeverarsi allo stesso amaro calice della martoriata popolazione della Repubblica Democratica del Congo. È con immenso dolore e costernazione che la sacra accoglienza degli ospiti, insita nelle tradizioni bantù si è macchiata di sangue. L’uccisione perpetrata con un agguato dell’ambasciatore italiano in Congo-Kinshasa Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e di Mustapha Milambo, l’autista congolese del Programma Alimentare Mondiale (PAM).

Lacrime, dispiaceri e disgusto sono stati espressi contro un atto vile e infame Luca Attanasio, un giovane funzionario dalle competenze e, soprattutto, dall’umanità mai riscontrate prima d’ora per la funzione che assumeva in Congo. Ci sono molti quesiti aperti sull’omicidio dei tre uomini, il primo nasce spontaneo e si orienta verso la Monusco (Missione dell’ONU per la- cosiddetta- “pace” in Congo). Il nostro ambasciatore Luca Attanasio, il Carabiniere Vittorio Iacovacci, Mustapha Milambo e gli altri quattro membri della delegazione sono partiti da Kinshasa a bordo dell’areo della MONUSCO e si recavano in una zona bellicosa per una missione che riguardava il PAM, Agenzia delle Nazioni Unite. È spontaneo chiedersi se il numeroso contingente MONUSCO non potesse supervisionare, anche con quattro elementi, un blindato, i droni supertecnologici, la missione di un diplomatico in missione per PAM, che ne è una delle agenzie, soprattutto in una zona dove l’instabile dissemina morti con un vero bollettino di guerra.

L’olocausto che subisce il popolo congolese da più di tre decenni continua a mietere vittime. Il primo a denunciare l’inferno che si preparava ad abbattersi su donne, bambini e uomini in Congo era Monsignore Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, assassinato il 29 ottobre 1996, da lì in poi solo numeri da capogiro nella tristissima e angosciante contabilità della morte congolese: più di 15 milioni di morti assassinati, 5,5 milioni di profughi interni, 20 mila caschi blu a fare compagnia ai congolesi, da più di 20 anni.    

Il risultato non poteva essere diverso se l’indifferenza del mondo è raccapricciante, il silenzio assordante, i media che si accattivano una facile attenzione con articolo dedicati ai bambini “sorciers o alle danze tradizionali”. Cosa aspettarsi da un contesto ricchissimo, dove vige l’impunità e il facile accesso al potere? I criminali, esteri e interni, si sono dati al massacro per integrare le istituzioni dello stato.

Dai bambini killer dell’Esercito del signore cacciato dall’Uganda e sconfinato in Congo, agli improvvisati imprenditori di milizie che le affittano per difendere le miniere, saccheggiare, offrire protezione, dalle bande armate, avide e feroci degli antichi hutu del genocidio ruandese degli Anni Novanta, sfuggite alla vendetta dei tutsi rifugiandosi nelle foreste del Kivu, alle scorribande oltre confine dei tutsi dell’Esercito ruandese. Tutti, uomini con i kalashnikov e machete, categorizzati in un gruppo di 122 fazioni che operano sul territorio. La Repubblica Democratica del Congo è soggetta alla risoluzione 1533 (del 12 marzo 2004), del Consiglio di Sicurezza che istituisce un Comitato per monitorare il divieto di trasferimento di armi alla Repubblica Democratica del Congo e il divieto di fornire assistenza da altri paesi a gruppi armati stranieri e congolesi che operano nel paese. Successivamente, il Consiglio ha anche chiesto al Comitato di monitorare il congelamento dei beni e il divieto di viaggio imposti contro alcuni individui e gruppi, così come alcune restrizioni all’aviazione. Con la risoluzione 1533 (2004) del 12 marzo 2004, il Consiglio ha anche istituito un gruppo di esperti per assistere il Comitato nell’adempimento del suo mandato. Tuttavia, Amnesty International rivela il 5 luglio 2005 (dossier Index AI: AFR 62/006/2005)[1] il flusso d’armi verso l’Est del Congo  

Un paese retto da un potere politico ventennale rivelatosi connivente e corrotto, nel quale Joseph Kabila ed i suoi alleati incentivavano una sistematica distruzione della nazione, compromettendo la sovranità nazionale, a cominciare dalla riforma scandalosa della Costituzione. La fragilità interna ha favorito gli appetiti dei paesi confinanti, delle multinazionali e ha facilitato i crimini.

Il silenzio della comunità internazionale, l’indifferenza totale dell’ONU e del consiglio di sicurezza della medesima organizzazione, la blanda e ininfluente azione del tribunale penale internazionale (CPI) hanno dato via libera a tutti di operare in maniera criminale. Oggi piangiamo giustamente Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo ma ieri le voci si erano alzati per i crimini dai numeri oceanici mai risolti, voci purtroppo rimaste sommerse. Chi si ricorda del 29 marzo 2017 quando “Il Messaggero[2] intitolava “Congo, trovati due corpi: sono quelli dei funzionari Onu scomparsi 14 giorni fa”? I corpi senza vita di due esperti delle Nazioni Unite scomparsi nella Repubblica Democratica del Congo erano stati ritrovati nella regione di Kasai, nel centro del paese. L’americano Michael Sharp e la svedese Zaida Catalan erano stati sequestrati due settimane prima del ritrovamento dei loro corpi mentre indagavano su presunti abusi commessi da un gruppo di ribelli: nel fine settimana precedente 40 agenti di polizia erano stati ritrovati decapitati. Lambert Mende, fedelissimo di Kabila e portavoce del governo, confermò la notizia del ritrovamento dei corpi. «Hanno perso la vita cercando di comprendere le cause dei conflitti e dell’insicurezza in Congo», aveva commentato da New York il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. «Le Nazioni Unite faranno tutto il possibile per garantire che venga fatta giustizia». Anche in questa situazione i testimoni avevano rivelato che un terzo corpo senza vita, quello dell’interprete, era stato ritrovato nella stessa zona, vicino a Ngombe nel Kasai, dove i due esperti Onu si erano recati accompagnati da quattro cittadini congolesi membri dello staff. L’autopsia sui corpi di Attanasio e Iacovacci ha rivelato i paesi da cui provengono le pallottole estratte?

Poi ci sono loro, gli operatori fallimentari di pace fantasma, i caschi blu dell’ONU, ventimila uomini, più di un miliardo di dollari l’anno il cui esborso non arriva nemmeno ad un dollaro speso a favore dei locali, carni da macello. Una presenza inutile, capace solamente di stilare rapporti e risoluzioni che non risolvono nulla per la popolazione di Kivu e del Congo. Uno dei documenti che darebbe finalmente speranza verso una soluzione del genocidio in Congo è il rapporto Mapping[3], stilato grazie all’indagine realizzata dagli esperti della Nazioni Unite contenente dei resoconti dettagliati dei crimini di guerra e contro l’umanità che tra il 1993 e il 2003 causarono la morte di circa sei milioni di persone e centinaia di migliaia di sfollati. A dieci anni dalla pubblicazione del rapporto Mapping le violenze perpetrate contro la popolazione non sono ancora cessate e il numero delle vittime inermi è più che raddoppiato: oltre 12 milioni di congolesi assassinati.

Oggi versiamo lacrime per Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci, Mustapha Milambo, cosa che avremo potuto evitare semmai uno degli organi internazionali tra il Consiglio di Sicurezza ONU, la Corte Penale Internazionale, e soprattutto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite avesse deciso di mettere nelle loro agende l’applicazione del Rapporto Mapping (tradotto qui)[4] . L’istituzione di un tribunale penale internazionale per giudicare i criminali – diretti o indiretti- dei soggetti, multinazionali e paesi implicati nelle violazioni imprescrittibili è l’imperativo per fermare questo genocidio. Altrimenti l’ambasciatore Luca Attanasio, il Carabiniere Vittorio Iacovacci e il funzionario PAM Mustapha Milambo saranno morti invano. E, nel frattempo, la lotta dei congolesi continuerà chiedendosi chi sarà il prossimo straniero a cadere sotto le armi incontrollate disseminate in Congo, perché il mondo riprenda a parlare dell’immeritato calvario delle donne, bambini e uomini congolesi. Ora nessuno può dire di non saperne nulla.

Anselme Bakudila

 

 

[1] https://www.amnesty.org/download/Documents/80000/afr620062005fr.pdf

[2] https://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/congo_funzionari_scomparsi_corspi-2345986.html

[3] https://www.ohchr.org/Documents/Countries/CD/DRC_MAPPING_REPORT_FINAL_EN.pdf

[4] http://www.paceperilcongo.it/categorie/documenti/rapporto-mapping-onu/

 

sito promosso dall'Ufficio Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Benevento per favorire il dialogo e il confronto tra componenti sociali e realtà ecclesiali presenti sul territorio, per far emergere notizie buone e vere che contribuiscano all'edificazione del Regno di Dio.

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