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20 anni di genocidio nel Congo

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20 anni di genocidio nel Congo

La vita è una corsa a staffetta, dove chi nasce prima consegna il testimone a chi succede, che prosegue la gara. L’andatura di chi precede e i tempi impiegati sono del tutto rilevanti per l’esito finale della squadra. Questa metafora è universale per tutte le civiltà, all’interno delle quali i padri crescono i figli e le madri iniziano le figlie alle regole del buon vivere di una comunità.

Questa regola della vita ha perso la sua universalità, purtroppo senza clamore né indignazione della grande parte del mondo: da poco più di 20 anni la vita dell’uomo nella Repubblica Democratica del Congo vale meno di una tazza di caffè. Nella totale complicità del mondo intero, la donna congolese e i suoi figli rappresentano un fastidio che impedisce l’accesso diretto alle materie preziose. Poco di ciò che si conosce oggi del paese di Patrice Emery Lumumba corrisponde alla verità. Come scrisse lo scrittore tedesco Jean-Paul Richter: “I giornali contengono verità eccellenti in mezzo alle bugie più crude, sono poche monete d’oro avvolte in carta moneta”. Come distinguere la verità dalle menzogne in questo contesto? Dopo più di 20 anni di atrocità che valgono 12 milioni di morti dovrebbe essere facile ai molti? A quanto pare non basta andare alla fonte senza un’attenta selezione. Ecco, il male in Congo ha una duplice radice: interna ed esterna. Internamente la Repubblica Democratica del Congo ha una “pseudo classe dirigente”, formata da persone, a maggioranza, senza etica. Per questi ultimi, in cambio di “dio denaro”, vale la pena legittimare un gruppo criminale e sequestratore di tutta una nazione. A confermarlo il finto passaggio di potere, avvenuto dopo le ultime elezioni presidenziali che ha consolidato il crimine, riconfermato a capo delle istituzioni soggetti colpevoli di grandi crimini ed ha dato nuova linfa alla corruzione.

Nel “Gattopardo” Tomasi di Lampedusa riporta in maniera eccelsa la situazione, ossia “tutto cambia perché nulla cambi”. Oggi, come ieri, il Congo continua a contare i morti da arma da fuoco, taglio, malattie infettive come Ebola, disumanizzazione, ecc. Se le cose non vanno bene è perché abbiamo imparato ad esteriorizzare la colpa. Il male congolese è prima di tutto interno, un interno dove vigono la corruzione e il potere a qualunque costo.   

Il terreno reso così fertile richiama, a costo delle vite umane, tutti gli avvoltoi assettati di sangue, ricchezza e benessere. Qui entra in ballo la radice esterna del male congolese. Ecco che dopo l’Occidente arriva a grande galoppo l’Oriente a depredare il Congo. Non si preoccupano mai del rispetto per la sovranità confiscata al popolo congolese.  Questo è l’ultimo dei loro problemi! In nome dell’innovazione tecnologica, del progresso, del nuovo modello del cellulare, delle macchine elettriche, computer performanti…  poiché serve far girare l’economia, facilitano alle multinazionali la conquista delle terre congolesi. Nella totale consapevolezza di sacrifici umani. Lo dimostra le manovre militari e di armamenti descritte nella lettera del 26 giugno 2012 indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU da parte del presidente del comitato del Consiglio di sicurezza istituito a norma della risoluzione 1533 (2004) relativa alla Repubblica democratica del Congo.[1]

I 20 anni di massacri corrispondono ad altrettanti anni di permanenza in Congo dei Caschi Blu dell’ONU. L’esercito delle Nazioni Unite conta 20 mila uomini super armati: essi risiedono in Congo ad osservare i quotidiani massacri di giovani, bambini, donne. La MONUSCO, missione dell’ONU per la pace in Congo osserva l’opera delle multinazionali fluttuare sul sangue congolese. Come canta il cantautore Francesco Guccini “Dio è morto…”: infatti, nei campi di sterminio congolesi Dio è morto! Tuttavia, la tomba non è mai stata più forte di Dio, neanche nella canzone di Guccini. Cresce una generazione che corre senza passaggio di testimone, una corsa a staffetta con il solo ricordo del fiume di sangue che scorre. Allora Dio dà segno di risurrezione.

Nel 1995 Dio risuscita quando Monsignor Christophe Munzihirwa, Vescovo della Diocesi di Bukavu ha lottato per la liberazione del popolo, ma Dio muore nel 1996 quando venne trovato il corpo di Monsignor Christophe, vittima di una vigliacca imboscata. La stessa sorte toccò a Monsignor Emmanuel Kataliko, giustiziato per aver mantenuto la voce del risorto, denunciando con lettere ufficiali a quasi tutte le autorità delle comunità internazionali. Nel 2010, nei ranghi dei 20 mila caschi blu, per una volta, Dio risorse. Navanethem Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani pubblica 581 pagine di indagine sui massacri ed identificazione dei responsabili. Per la prima volta, in via ufficiale, viene utilizzata la parola genocidio in Congo.  Il dossier viene chiamato Rapport Mapping[2]. La risurrezione dura poco perché il rapporto Mapping giace sepolto in qualche cassetto negli uffici dell’ONU. Dio potrà risorgere nella resistenza interna organizzata dai “Mai-Mai”?

I Mai-Mai sono un gruppo congolese che resiste per difendere il proprio territorio contro i suddetti macellai. Purtroppo, i Mai-Mai, autoctoni e congolesi di sangue e di nascita, sono additati come dei ribelli… agli occhi dei media internazionali, a volte in preda al “copia e incolla”, la vittima (i Mai-Mai) che difende l’Est del Congo viene vista come l’aggressore.

La lotta contro l’occupazione della Repubblica Democratica del Congo è lunga e, sicuramente, con danni incommensurabili. Come scriveva Ermes Ronchi: “Dio non è neutrale e nemmeno la sua pace”[3], servono uomini e donne, interni ed esterni, voci e braccia di Dio, perché divampi nella Repubblica Democratica del Congo il fuoco che Dio è venuto a portare. Ogni neutralità, ovunque provenga, non è di Dio e chi la esercita diventa corrotto, corruttore o complice. Solamente le informazioni corrette trasmesse a voce alta ed una liberazione totale del Congo potranno dare pace ai 12 milioni di morti di questi ultimi 20 anni di genocidio e, finalmente innalzare realmente il volto del risorto.

Anselme Bakudila


[1] https://www.undocs.org/fr/S/2012/348/Add.1 o https://www.undocs.org/en/S/2012/348/Add.1 (rispettivamente in versioni: francese e inglese).

[2] https://www.ohchr.org/Documents/Countries/CD/DRC_MAPPING_REPORT_FINAL_FR.pdf

[3] https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/dio-non-eneutralee-nemmenola-sua-pace

Anselme Bakudila Mbuta è l’ottavo dei 10 figli, nasce nel 1972 à Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo). Nel 1996 raggiunge l’Italia per motivo di studio dove si laurea nel 2004 in Science e Tecnologie Agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Nel 2007, presso la stessa università,consegue il dottorato di ricerca in Fisiopatologia dei sistemi Zootecnici sotto la supervisione di Prof Giuseppe Bertoni.  

Tecnico Superiore in marketing territoriale e dei prodotti agroalimentare, Anselme Bakudila lavora per l’Association Internationale Slow Food presso l’ufficio Contenuti e Progetti. Organizza eventi come Terra Madre, Salone del Gusto, Cheese, Slow Fish.

sito promosso dall'Ufficio Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Benevento per favorire il dialogo e il confronto tra componenti sociali e realtà ecclesiali presenti sul territorio, per far emergere notizie buone e vere che contribuiscano all'edificazione del Regno di Dio.

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