Le arti luogo d'incontro
La bellezza del bene comune
In dialogo con Erminia Mazzoni
a cura di Antonella Fusco
Educhiamo i giovani al valore del bene comune, alla prossimità. E questo attraverso uno sguardo che sappia armonizzare pensiero e sensibilità. Sguardo non solo come capacità di osservare e di percepire, ma anche e soprattutto come dimensione dell’essere. Come capacità di andare oltre. Cogliere una bellezza aperta alla profondità dell’esistenza, che sappia coinvolgere ogni persona, ogni luogo. Avv. Erminia Mazzoni, già membro del Parlamento Europeo, Lei che è molto vicina al mondo giovanile, cosa ne pensa.
Educare chi si affaccia alla vita è sempre stato un lavoro difficile, oramai è una missione. Ho molto rispetto per chi abbraccia la causa in maniera critica e propositiva. Un tempo il compito era affidato a una pluralità di attori sociali cooperanti e impegnati. Prima di tutto c’era la famiglia, poi la scuola, l’università e i luoghi di aggregazione culturali, sportivi, ricreativi. Oggi queste strutture sociali si sono gradualmente rarefatte e indebolite e hanno smesso di dialogare tra di loro, a causa del depauperamento morale e valoriale delle società contemporanee. In parallelo sono mutati i modelli di comunicazione e di socializzazione in ragione della diffusione di piattaforme di rete virtuali, che si sono sostituite prepotentemente ai contesti educativi tradizionali. Questa trasformazione ha eliminato dal logos comune l’incontro, l’ascolto, l’interazione, la comunicazione verbale e visiva. Tutto oramai si consuma in un click, un meme, un like. La vita è una story, un post, un reel… Queste nuove forme offrono una momentanea e superficiale sensazione di comunità, mentre in realtà disumanizzano e isolano. La destrutturazione dei processi relazionali ha prodotto una effimera sensazione di controllo della conoscenza e dei rapporti. Nessuna verifica delle proprie capacità e nessuna necessità di confronto. Privazione della identità personale a favore di una semplificatoria e massificante identità virtuale, che non richiede una doverosa responsabilizzazione. Il passaggio da tale dimensione virtuale a quella della elaborazione della essenza non materica dell’altro, attraverso l’uso dello sguardo, è un salto di grado e di potenza che non tutti hanno la voglia, la forza e il coraggio di affrontare. È assolutamente necessario ripartire dalla ricerca dello sguardo, come metafora, per imboccare la strada della umanità della relazione tra individui e per portare, in particolare i giovani, verso una coscienza del sè e verso la consapevolezza dell’essere umano nella dimensione collettiva del noi. Quello di cui abbiamo bisogno, come ha sintetizzato con una espressione esemplare il Prof. Becchetti, è “introdurre dosi massicce di intelligenza relazionale e fraternità nella vita sociale e politica”, per ritrovare il piacere di godere della bellezza vera della vita stessa e ricominciare ad amarla e ad amarci.
Parliamo di una bellezza che non si vede, ma si sente. Un sentire che valorizzi la speranza: è ciò che rende educativa una comunità. Educhiamo, allora, al bene e al vero, espressioni di una umanità luminosa.
La mia idea, seppur apparentemente contraddittoria, è che la dimensione dematerializzata della relazione da web si nutra di una profonda “materialità”. La vita dei social è in realtà tutta protesa verso la esaltazione dell’io, la cura dell’esteriorità, la liberazione di sentimenti negativi e la perdita del fluire del tempo cui si è sostituita la formula del “tutto e subito”. In questa rappresentazione complessa è l’opera di sensibilizzazione verso il concetto di una “bellezza che non si vede, ma si sente” e di “bene comune”. Siamo lontani dalla consapevolezza che “Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli uomini, la famiglia e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno della propria perfezione” come ci ricorda la Gaudium et Spes (IV, 74a). L’immagine più della sostanza. La superficie più della profondità dell’anima e del sentire. Questa è la conseguenza immediata della perdita del contatto tra le persone. L’uomo è in questa fase al limite della sua primazia sulla cosa. Siamo quasi ostaggio delle macchine. Da esse traiamo alimento e ai loro standard ci uniformiamo. Tutto corre sul filo della finzione e della mistificazione, perché ci proponiamo in un mondo parallelo dando peso a quanto appare più che a cosa siamo. Questa duplicazione di piani fa torto alla bellezza della natura umana. “Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse”, faccio nuovamente ricorso alla Gaudium et Spes, per dire che “Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria un’autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità”(IV, 74b). La potenza del messaggio viene, purtroppo, frenata dalla incapacità di leggere in queste parole un insegnamento valido anche per chi non ha fede. L’uomo, laicamente inteso, è una parte del tutto. Esiste nella relazione con l’altro e le sue azioni producono benessere fino a quando gli effetti delle stesse siano riferibili al gruppo sociale di appartenenza. Il concetto di bene comune interessa la vita di tutti. Per sedimentare buoni sentimenti e valori di verità è certamente indispensabile educare i giovani a ritrovarsi in uno sguardo. Ma credo che il messaggio educativo difficilmente possa raggiungere il risultato atteso se ad esso non si accompagna l’esempio da parte di coloro che esercitano funzioni pubbliche. La speranza è il fondamento della vita futura ed è una proiezione della vita presente. In essa si può confidare se quello che ci circonda ci restituisce fiducia e ci stimola a riprodurre e implementare modelli positivi. Una comunità è educativa se chi la rappresenta ai più alti livelli lo è.
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